sabato 26 aprile 2008

Introduzione al Teatro di Lope de Vega

Lope de Vega (1562-1635) è un drammaturgo spagnolo, il cui merito principale è stato quello di dare alla Spagna e alla cultura occidentale il nuovo volto del Teatro Occidentale. Nel 1609, Lope, così viene chiamato in Spagna, vista la sua fama, ha scritto "El Arte nuevo de Hacer comedias" con cui ha codificato un nuovo genere teatrale: la commedia lopesca.
La commedia, secondo Lope, non deve più avere una struttura drammaturgica rigida, e non deve promuovere forme di linguaggio esclusivista o peggio ancora elitario; il teatro, ha il compito di parlare alla coscienza dell'individuo, pertanto il drammaturgo ha il dovere di esprimere un linguaggio universale, ed affrontare tematiche che riguardino l'intera società. La commedia non è più in cinque atti, ma in autos, talvolta tre, talora di più, purchè siano di un numero dispari; il sistema dei personaggi deve essere rappresentato da due fasce sociali; i campesinos-labradores e i nobles-hidalgos.
Gli intrecci più ricorrenti in Lope hanno come oggetto di indagine lo studio del conflitto sociale tra la società aristocratica e il ceto dei lavoratori. In commedie come "Peribanez y el Comendador de Ocana" oppure "El Perro del Hortelano" molto simili al "Comendador de Ocana " del fedele seguace Calderòn de La Barca, il tragic fault dell'opera, che talora travalica i confini della commedia per debordare nel tragicomico, è sempre l'agravio all'honor-honra di un nobile nei confronti di un labrador. Dopo una serie di peripezie, il labrador, che agli occhi del lettore, appare come in balia dei soprusi del nobile, giunge sorprendemente a una vittoria finale. L'assolutezza della legge che trionfa sulla fattualità circostanziale dei rapporti di classe. Il tema della società giusta è molto sentita ai tempi di Lope, la società barocca spagnola è profondamente iniqua e gerarchizzata. Pertanto il suo teatro puù essere definito innovativo, nella sua esemplarità e nella sua ipnosi catartica agli occhi di uno spettatore che vuole essere stupito.
E' l'occhio dell'uomo barocco, il kharma dell'uomo moderno.
Lope, in tal senso, anticipa persino la modernità di un testo, pur godibile, come "Il mercante di Venezia" di Shakespeare, ove l'ebreo Shylock viene, seppure in maniera discutibile, tutelato dall'inviolabità della legge della Serenissima.
L'uomo barocco che difende il proprio onore, inteso sia in senso verticale (ovvero gerarchico) che orizzontale, (cioè proprio della reputazione), viene travolto dall'ondata di modernità di un teatro per natura eclettico.
Conscio del processo di sperimentalismo letterario di un Fernando de Rojas e di un Miguel de Cervantes, o meglio ancora del Picaro, Lope comprende a pieno l'esigenza di dover creare il teatro dell'uomo comune, a metà tra il realismo picaresco e la tragicommedia elisabettiana.
Lo spirito di importanti drammaturghi come Juan de Timoneda, Ruiz de Alarcòn e Lope de Rueda, vive magistralmente nei versi di Lope, che fonde in una mirabile miscellanea il passato di un teatro aneddotico e cervantino, con l'inquietudine della drammaturgia barocca.
L'abbandono totale del retaggio encomiastico e cortigiano di testi panegirici ed elegiaci di un Giraldi Cinzio o di un Bandello, o peggio ancora del cronicismo del Bale, appare più come una presa di coscienza critica piuttosto che come un mero atto di coraggio.
Tra i suoi più insigni seguaci vi sono Calderòn de la Barca, e Tirso de Molina, il cui fervore letterario riecheggia nei versi del Tenorio di Zorrilla, o nel Don Alvaro del Duque de Rivas.
Quando torno sulle migliori pagine di Peribanez, penso alla penosa atmosfera che pervade l'inesorabilità dell'ingiustizia delle pagine del Marchese di Roccaverdina di Capuana.
In Lope trinfa il giusto, la logicità aristotelica, la cognitività cartesiana, non cè neppure l'ombra di una beffa, di quella che il Verga chiamerebbe "Provvidenza".

Claudio Ferretti

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